Perché aiutare l’Africa? – di Alfredo Di Nola

 

Chiunque sia andato in Africa è rimasto commosso nel vedere che gli Africani spesso dormono distesi per terra su una stuoia o nel vedere le donne che compiono lunghi percorsi per approvvigionarsi di acqua, anche là dove per trovarla (come nella foresta equatoriale) sarebbe sufficiente scavare un pozzo di una quindicina di metri.
L’istinto sarebbe di fornire loro i letti e di scavare i pozzi. Ma dovremmo prima domandarci se ciò sia giusto.
La costruzione di un letto non è molto difficile, come pure scavare un pozzo non troppo profondo. Gli Africani lo sanno e se non lo fanno ciò dipende dalla loro cultura. Infatti, l’Africano tende a vivere in equilibrio con la natura e a differenza di noi non tende a modificarla. Per questo non ha costruito edifici memorabili, come le nostre cattedrali e non ha costruito strade come hanno fatto gli antichi Romani o costruito dighe o acquedotti.
Questo aspetto della loro civiltà ha dei vantaggi: ad esempio non distrugge l’habitat e non porta il mondo alla rovina per la produzione di anidride carbonica o di altri veleni. Se il mondo rischia la catastrofe ecologica, questo lo deve a noi occidentali.
Quindi alla domanda se dobbiamo essere noi a costruire letti, strade, acquedotti dovremmo rispondere di no.

Un'altra cosa che incute orrore sono le bidonville, che circondano le grandi città, con il loro carico di dolore. Ma se ci pensiamo un attimo dobbiamo concludere che le bidonville le abbiamo portate noi. Nell’Africa sub- sahariana non esistevano grandi città e quindi le bidonville. Queste sono il frutto della interazione col nostro mondo.
Anche questo aspetto dovrebbe farci riflettere sulla presunta superiorità della civiltà occidentale.

Potremmo concludere che non dobbiamo costruire  nulla, ma almeno aiutarli a curare le malattie che li affliggono come malaria, tubercolosi e aids. Sappiamo che la mortalità infantile è molto alta e che la vita media è incomparabilmente più bassa della nostra.
Anche in questo caso dobbiamo prima riflettere. Sappiamo che una donna africana arriva anche ad avere dieci gravidanze nella sua vita e che solo tre o quattro figli raggiungono l’età adulta. Se avessimo la bacchetta magica e potessimo debellare in un colpo tutte le loro malattie, la conseguenza sarebbe un’esplosione demografica in assenza di lavoro per tutti e di cibo. Dobbiamo quindi concludere che anche in questo caso gli Africani hanno raggiunto un equilibrio con la natura e che sarebbe bene non fare nulla.

Ma è proprio così?

Se l’Africa fosse un sistema chiuso e isolato forse sarebbe opportuno lasciarla nel suo equilibrio.
Tuttavia l’Africa da sempre è stata in contatto con le altre civiltà, in particolare con la nostra, che, a differenza della loro, tende a sopraffare le altre, come è accaduto ad esempio con i nativi americani. Al contatto col nostro mondo l’Africano non ha difese da opporre né culturali, né fisiche e ciò è fonte da sempre di enormi catastrofi.
Per fare un piccolo esempio tutti noi, quando abbiamo un figlio malato, facciamo di tutto per procurarci le medicine. In Africa non è infrequente che un padre preferisca utilizzare i pochi soldi che ha per comprare uno dei nostri oggetti di consumo, come una radio stereo o un telefonino. Questo perché sono attratti dalla nostra tecnologia, ma non sono attrezzati culturalmente a gestirla.
In conclusione è giusto aiutare l’Africa e in questo caso cosa dovremmo fare?
La mia risposta è che, poiché non è un sistema isolato, dobbiamo cercare di aiutarla e che il problema è soprattutto culturale. Quindi dobbiamo aiutare l’Africano ad avere gli strumenti culturali per affrontare e risolvere i suoi problemi.
Questo vuol dire che non dobbiamo cercare di debellare le malattie?
Anche in questo caso occorre agire contemporaneamente su più fronti: ad esempio diminuire la mortalità, ma anche permettere uno sviluppo demografico sostenibile. Questo ultimo si ottiene solo attraverso una diffusione della cultura.

Credo di aver chiarito che la diffusione della cultura sia, secondo la mia opinione, una condizione irrinunciabile per lo sviluppo dell’Africa.
Ma sorge subito un’altra domanda: cosa dobbiamo insegnare?
Dobbiamo parlare di Aristotele? Dobbiamo parlare delle guerre napoleoniche? Dobbiamo portare la nostra cultura e trasformarli in tanti piccoli lord?
La mia risposta è no. Portare la cultura non è così semplice come si potrebbe pensare. Io distinguerei due aspetti: la cultura tecnologica e quella filosofica e umanistica. La diffusione della prima  non comporta problemi etici. Per la seconda i problemi etici sono fondamentali. Per non trasformare gli Africani in occidentali dobbiamo certamente far loro conoscere la nostra cultura, ma lo scopo deve essere quello di aiutarli a sviluppare la loro. Questo è, secondo me, l’aspetto più difficile, che va affrontato con estrema cautela.